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Gianni Berengo Gardin, un fotografo di classe.
Autore: Fulvio Bortolozzo
- Pubblicato il 29/09/14 - Categoria
Cultura Fotografica
Da più parti ultimamente salgono voci a criticare le varie dichiarazioni di Gianni Berengo Gardin
(classe 1930) sulla fotografia vera o presunta, sul digitale, sull'arte
e via dicendo. Indignazioni, repliche, stracciar di vesti di ardenti
sostenitori delle tesi opposte. Bene, scusate il francese, ma mi sono
rotto le palle di sentir tutto questo agitarsi di scudi contro un
signore che ha raggiunto un'età veneranda dopo una vita da fotografo,
quando fare il fotografo era un mestiere come un altro. Questo è il vero
punto, ora che in troppi per avere una fotocamera in mano si
considerano artisti, autori, intellettuali prestati, docenti incaricati.
Gianni Berengo Gardin è un uomo che tutto solo soletto si è inventato da zero un lavoro che gli piacesse, in epoche in cui il lavoro che non ti piaceva, ma ti manteneva a vita era elargito con una certa abbondanza. Con la sua fotocamera ha ideato, realizzato e pubblicato, cercando non senza fatica la via economica di volta in volta giusta e senza rubare nulla a nessuno, centinaia di libri. In Italia, quando era già GBG da decenni, nessuno voleva pubblicargli il lavoro sugli zingari, andò a cercare all'estero e in Germania trovò un editore che lo pubblicò e così prese il Premio Oscar Barnack 1994. Ha pushato the button milioni di volte, l'ho visto a Biella, nel 2005 mi pare, con il pollice slogato e il motore sotto la Leica per poter continuare a scattare.
Cosa dica Gianni oggi sul digitale, sul colore, sugli artisti semplicemente NON MI INTERESSA. Sarebbe come chiedere ad un bravissimo artigiano brianzolo del legno di discettare sull'arte contemporanea. Gianni parla da sempre con il suo operaismo, con il suo uscire a fotografare ogni santo giorno, come uno va alla FIAT a montare auto. La quasi totalità di chi lo critica non ha fatto, e non farà mai in vita sua, la millesima parte del lavoro che ha fatto invece Gianni. Gianni lavora come gli operai di una volta, quelli della ormai dimenticata "classe operaia". Questo da sempre dice non con la bocca, ma con le braccia che impugnano la macchina, e lasciamo stare l'occhio, la mente e il cuore che è roba da borghesi parigini che poi si stufano e appendono la macchina al chiodo per mettersi a fare disegnini qualsiasi.
Gianni Berengo Gardin è un uomo che tutto solo soletto si è inventato da zero un lavoro che gli piacesse, in epoche in cui il lavoro che non ti piaceva, ma ti manteneva a vita era elargito con una certa abbondanza. Con la sua fotocamera ha ideato, realizzato e pubblicato, cercando non senza fatica la via economica di volta in volta giusta e senza rubare nulla a nessuno, centinaia di libri. In Italia, quando era già GBG da decenni, nessuno voleva pubblicargli il lavoro sugli zingari, andò a cercare all'estero e in Germania trovò un editore che lo pubblicò e così prese il Premio Oscar Barnack 1994. Ha pushato the button milioni di volte, l'ho visto a Biella, nel 2005 mi pare, con il pollice slogato e il motore sotto la Leica per poter continuare a scattare.
Cosa dica Gianni oggi sul digitale, sul colore, sugli artisti semplicemente NON MI INTERESSA. Sarebbe come chiedere ad un bravissimo artigiano brianzolo del legno di discettare sull'arte contemporanea. Gianni parla da sempre con il suo operaismo, con il suo uscire a fotografare ogni santo giorno, come uno va alla FIAT a montare auto. La quasi totalità di chi lo critica non ha fatto, e non farà mai in vita sua, la millesima parte del lavoro che ha fatto invece Gianni. Gianni lavora come gli operai di una volta, quelli della ormai dimenticata "classe operaia". Questo da sempre dice non con la bocca, ma con le braccia che impugnano la macchina, e lasciamo stare l'occhio, la mente e il cuore che è roba da borghesi parigini che poi si stufano e appendono la macchina al chiodo per mettersi a fare disegnini qualsiasi.