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LES RENCONTRES ARLES PHOTOGRAPHIE 2014
Autore: viva - Pubblicato il 25/09/14 - Categoria Cultura Fotografica
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LA FOTOGRAFIA ITALIANA E’ VIVA.
VIVA LA FOTOGRAFIA ITALIANA!

Non è un controsenso:  proprio l’assenza della Fotografia Italiana nel programma ufficiale di Arles ha stimolato un silenzioso grido di dolore e di sensibilizzazione.

Arles, Francia: Fotografia Internazionale, internazionalmente riconosciuta.

“Parade”, il tema di questa edizione 2014, la quarantacinquesima, una vita.

Parata, un tema impegnativo, una specie di lascito da parte di François Hébel, Direttore dei Rencontres per la quindicesima e al momento ultima volta.

Parata amara per noi Fotografi Italiani, assolutamente assenti dal programma ufficiale.

Questa la premessa al mio personale approccio al più importante Festival di Fotografia e proprio per questo foriero di grandi aspettative, ancora una volta disattese nei confronti della nostra Fotografia. Allora scatta la scintilla.

In mente già da anni, dopo varie partecipazioni a Paris Photo e ad altri eventi europei, decido di diventare il paladino della Fotografia Italiana. La mia visione di queste manifestazioni, come ho sempre dichiarato, è quella del Fotografo, cioè di chi le fotografie le pensa, le progetta, le scatta, le mostra, le vende (o cerca di farlo), le valuta per i loro contenuti, per i messaggi che contengono o che non contengono. Doppio binario di considerazioni, quindi, uno assoluto per i contenuti e uno relativo al confronto con un vuoto di cui non capivo le ragioni. Ma ora le ho capite…

La preparazione per la partenza ha previsto un approfondito esame di ciò che avrei potuto vedere attraverso la lettura della veramente completa rassegna stampa messa a disposizione dalla organizzazione. L’aver riscontrato che nessun Fotografo Italiano era entrato nelle selezioni e nelle proposte ufficiali, come dicevo, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso della mia pazienza, conoscendo almeno decentemente lo stato della Fotografia Italiana, sia professionale che del mondo amatoriale.

E allora, lancia in resta, poncho sulle spalle, sono partito con la precisa idea, oltre che di visitare le proposte, di iniziare un’opera di sensibilizzazione pubblica nei nostri confronti, della Fotografia Italiana intendo, ovviamente oltre alla visita delle mostre.

Giusto il tempo di arrivare, effettuare il rito della vestizione, con qualche ovvia apprensione, non ho esperienze precedenti da uomo-sandwich e per di più sono un timido, ma il dado è tratto e non posso certo tirarmi indietro al momento buono. Mi fermo in Place de la Republique, punto di partenza e luogo più ampio di tutta la città. C’è tanta gente, come sempre, sono tutti, o quasi, fotografi o comunque interessati alla Fotografia. Mi vedono, mi guardano, leggono curiosi il mio messaggio, ovviamente mi puntano le loro macchine fotografiche, qualcuno si avvicina, sorride, mi chiede addirittura di posare. Qualcuno mi chiede perché. Questo volevo!

La mia spiegazione relativa alla mancanza di Fotografi Italiani nel programma ufficiale convince gli stessi Francesi, gli Italiani plaudono, Inglesi e Spagnoli lamentano anche loro la scarsa attenzione da parte degli organizzatori.

Il ghiaccio è rotto, avanzo con maggior non-chalance, entro nella prima mostra, nell’Eglise Sainte-Anne, chiesa da anni ormai dedicata alle mostre, perfettamente attrezzata per ospitarle, illuminata in maniera corretta e uniforme.

Già questo mi sollecita ad un primo confronto con la quasi totalità degli allestimenti nostrani, in cui la qualità e l’uniformità delle luci è puro optional, come se la luce di visione non avesse la stessa importanza di quella di ripresa. Come è possibile guardare e godere di qualsiasi immagine se non fruisce di una corretta illuminazione? Perché deprimere le immagini con allestimenti di scarsa qualità? Sarà forse che dette immagini non valgano la pena di essere ben esposte? Oppure che la vanità di chi espone è soddisfatta solo dall’essere in mostra, comunque sia? Certo, una buona e corretta illuminazione costa, ma non è il costo l’aspetto più importante, bensì il valore.

Se non si hanno disponibilità, ambienti e allestimenti corretti, meglio non esporre, perché deprimere il risultato di sforzi e ricerche creative, di elaborazioni e sistemazioni a volte onerose, di stampe curate (si spera), di discorsi profondi, dicevo, deprimere tutto il lavoro per un allestimento scadente, non fa che far scadere, togliere valore, uccidere la qualità, forse anche squalificare le opere e il loro artefice.

Immagini di “valore” devono essere “valide”, dalla progettazione alla loro esposizione. Se vogliamo che siano veramente apprezzate devono essere trattate adeguatamente. La Cultura della Fotografia passa anche da queste considerazioni. Viva la Fotografia!

In tema di allestimenti c’è da rimarcare un altro aspetto. Molti più spazi espositivi sono stati ricavati da Chiese e Cappelle sconsacrate. Spero non sia il segnale che qui, la Religione sia la Fotografia. Il culto non si addice a una pratica che è pagana per definizione.

Tornando alle mostre, beh, non vorrei parlarne diffusamente, chi vuole saperne di più può accedere a una documentazione veramente completa, sia sul web che nei cataloghi (redatti in Francese e Inglese). Troverete, ahimè, poca eco su giornali e riviste nostrane, altro punto dolente della nostra mancanza di attenzione alla Fotografia. Viva la Fotografia!

Qualche annotazione però è doverosa, quanto meno per segnalare le mostre che, sempre secondo me, hanno veramente meritato. Due sopra tutte. La prima, nell’Èglise des Frères Prêcheures, con una campagna nazionale per il recupero, nel centenario della Grande Guerra, delle immagini dei quarantamila (40.000) monumenti dedicati ai caduti della guerra del 1914-1918 che ha causato solo in Francia ben 1.350.000 (unmilionetrecentocinquantamila) morti. Campagna nazionale, dicevo, che ha coinvolto, oltre al personale interessamento di Raymond Depardon, i trentaseimila Comuni Francesi invitati con un preciso protocollo a inviare le immagini della testimonianza di quella grande tragedia. Immagini che, proiettate su grandi schermi all’interno della Chiesa, ancora una volta con un allestimento fantastico, restituivano ampiamente gli orrori e i dolori della guerra, ben più di immagini proprie della guerra stessa. Un tributo che solo la Fotografia poteva rendere, documentare e presentare. Viva la Fotografia! (foto)


L’altra mostra, superlativa, è quella di Chema Madoz, autore Spagnolo, surrealista ben più di Magritte, con un mondo di (vere) fotografie a rappresentare comuni oggetti in una efficace quanto scarna rappresentazione di concetti anche profondi, benchè di facile intuizione. La sublimazione della Fotografia, per vedere al di là del visibile, con una creatività entusiasmante, senza mistificazioni o manipolazioni, mettendo a nudo la nostra capacità di percezione. Chiunque si occupi di Fotografia dovrà fare i conti con queste opere.
Una doverosa menzione va anche alle molteplici Collezioni che hanno riempito gli spazi espositivi, alcune ovviamente molto interessanti. Altro grande rammarico, però, perché non esporre la madre delle Collezioni Italiane, quelle “Stanze della Fotografia” di Fabio Castelli (ArtVerona – Ottobre 2007), così ben curate e documentate, che illuminerebbero chiunque desideri capire di Fotografia? Nota a margine, perché le nostre istituzioni e i nostri guru non le hanno mai proposte in ambienti museali? Viva la Fotografia Italiana!
Comunque, per Arles, parata in tono minore, anche a detta di molti. Non facile ripetere il successo dello scorso anno, quando il tema del Bianco&Nero aveva in qualche modo obbligato a delle scelte di qualità superiori alla media delle precedenti edizioni.

Segue la seconda parte a www.photographers.it/articolo/les-rencontres-arles-2014-parte-due-1989.html


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