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La sezione dedicata alla fotografia del Festival Internazionale Isole che Parlano sarà quest’anno dedicata a Francesco Cito, vincitore di due World Press Photo , uno dei più importanti reporter italiani a livello internazionale. La mostra ospitata - dal titolo Wide Gaze (Un ampio sguardo) - sarà un progetto originale che presenterà una selezione di oltre settanta immagini che racconteranno un viaggio lungo trent’anni e festeggerà il ritorno di Cito al Festival di Palau. Il percorso espositivo, prevalentemente in bianco e nero ma con un’appendice a colori, si presenterà con un ampio sguardo composto da circa quaranta immagini tratte da alcuni tra i reportage più importanti nella carriera del fotografo e tre focus monotematici: Coma, Palio di Siena e Sardegna. Il titolo della mostra assume un triplo valore. Uno tecnico legato alle ottiche grandangolari con cui Cito è solito lavorare, uno legato all’ampio arco temporale e tematico delle foto in mostra e il terzo legato all’autorialità, alla profondità e alla forza delle immagini che ci restituiscono lo sguardo del fotografo sulla realtà del mondo. Uno sguardo che spazia tra società, malavita organizzata, guerre e costume. Il percorso si apre con un ampio sguardo e gli scatti più lontani nel tempo, 1978 e 1979, prevalentemente a colori, foto di punk e minatori, di mattanza di tonni a Favignana. Dal mare rosso di sangue si passa al bianco/nero per il “miracolo” dello scioglimento del sangue di San Gennaro a Napoli presente anche in altri scatti, realizzati tra l’87 e il ’93, A seguire, Buckingham Palace, dove Papa Wojtyla passeggia con la Regina Elisabetta nel 1982, e un altro palazzo reale dove, 8 anni dopo, un marine posa mimetizzato su uno sfarzoso divano davanti ai ritratti dei dignitari sauditi. Passiamo così ai teatri di guerra che Cito ha documentato in prima linea per vari decenni (rischiando la vita): dall’Afghanistan (1980) con i ritratti di guerriglieri, alla guerra del Libano (1982/1983). Si passa quindi a uno dei temi che Francesco ha seguito il conflitto e la questione palestinese, presente con tre scatti (1986, 1988 e 2002) e ad un soldato irakeno morto sulla strada per Bassora e i pozzi petroliferi in fiamme nella guerra del Golfo del 1991. A chiudere una foto dell’Afghanistan (del 1989 ma tristemente attuale). A rompere questa lunga serie, riflesso nello specchietto, lo sguardo di un autista di pullman su un villaggio dell’Iran (2001), e ancora una donna di Peshawar col burqa che sembra essere parte integrante di un minaccioso murale alle sue spalle. Nel mentre un’anziana signora si asciuga su una spiaggia di Rimini, nel 1987, e nello stesso anno, uomini magrissimi che passeggiano nel cortile del manicomio di Reggio Calabria. Le fotografie di esseri umani lasciano spazio al paesaggio in una foto delle terre senesi e agli animali con un gatto che gioca tra i tubi delle Terme di Petriolo e alcune candide oche in fila e marziali.
Si arriva così in Russia con tre scatti (2007/2009). A chiudere la prima serie di immagini un tuffo, sospeso, immortalato a Corigliano Calabro. Quasi un rimando alla situazione raccontata in Coma (foto dal 1990 al 2008), in cui la sospensione e l’immobilità sono presenti nei nove scatti in mostra, negli impressionanti occhi sbarrati di giovani figli: un reportage affatto spettacolare di lungo periodo e di rara intensità umana. Immobilità e sospensione sono concetti che vengono, invece, completamente rovesciati nelle immagini del Palio di Siena (1988/1998), dove passione e fede, umanità e istintività, reale e surreale si susseguono senza soluzione di continuità in immagini particolarmente “dinamiche” e cariche di tensione. Così, al termine di questo percorso, si arriva in Sardegna (1989/2003). Sono immagini di un’Isola raccontata all’interno, lontano dalla costa, un’isola di modi e riti arcaici. Una serie di immagini di momenti rituali e di situazioni stranianti: una donna che imbraccia un fucile a pompa per festeggiare S’incontru, le maschere di carnevale che rimandano alle bestie della vita quotidiana, i campanacci appesi alla schiena di un Mamuthone, i funerali di fantocci. Ridono tre anziane ovoddesi alla finestra, durante la follia del carnevale, e ridono anche gli Intintos di Olzai e un uomo di Orgosolo con solo tre denti così simile al murale alle sue spalle. Vola un chierichetto mentre suona le campane per S’Ardia al santuario di Santu Antinu, e poco dopo riparte la sfrenata “giostra” equestre. Poi tutto a un tratto tutto si ferma e si fa di nuovo austero, come la coppia a San Francesco di Lula, col Supramonte alle spalle che guarda lontano, ma non troppo, come tutto in Sardegna, o il pastore che conduce il suo gregge, sotto un cielo carico, in una piana che sembra amplissima: sintesi dell’ampio sguardo di un grandissimo fotoreporter.