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Fotografie di Maurizio Pinto presso Spazio Arthesis
Autore: mauriziopinto
- Pubblicato il 07/04/10 - Categoria Mostre
Maurizio Pinto
F O T O G R A F I E
SPAZIO ARTHESIS ASTI, 27.03 – 10.04.2010
Quante volte vediamo più cose in un unico oggetto? Quante volte in un’opera è presente una molteplicità di possibili significati ed interpretazioni? Le fotografie esposte in questa personale di Maurizio Pinto hanno la peculiarità di permettere vari livelli di lettura. Esse evidenziano l’evoluzione dell’artista e rappresentano un’efficace sintesi di quanto da lui realizzato negli ultimi anni.
Una delle sale della galleria è dedicata a quelli che il fotografo chiama quasi scherzosamente “poster”, per sottolineare la natura più estemporanea, meno studiata e più spontanea di queste opere, dove tuttavia è subito evidente la capacità tecnica dell’artista. Si tratta in effetti di fotografie dal tema diverso, principalmente persone e paesaggi visti in varie parti del mondo, e in cui però è presente ben più di quello che il significato del termine poster, che letteralmente sta per ‘manifesto, affisso’, lascerebbe intendere, e cioè la “riproduzione a stampa di opere d’arte, fotografie di personaggi celebri e no, paesaggi e simili, che si è soliti appendere alle pareti come oggetto di arredamento”. In realtà, dietro l’aspetto di semplici fotografie di viaggio, vi è una ricerca formale di grande precisione, dove la nitidezza dell’immagine è anche pulizia dello sguardo e capacità di penetrazione del soggetto rappresentato, che viene colto nella sua innocenza e semplicità.
Quasi a contrastare questa apparente immediatezza e facilità, una parete della galleria è completamente occupata da un’unica immagine, il contrario del poster inteso quale opera multipla, commerciale, a basso costo: quest’opera di forte impatto visivo appare da subito molto ricercata e lavorata. Alla “realtà” e ai colori forti e brillanti dei “poster”, si contrappone l’“irrealtà” di quest’immagine in bianco e nero (Un-Real è il titolo) che mette insieme la passione per le persone e le architetture, e dove forti sono i richiami visivi a quella che è una grande passione di Pinto, l’oriente. Se si osserva attentamente, in essa si possono scoprire dei particolari che a prima vista non si erano notati. L’artista ha inserito ovunque oggetti e figure che richiedono un’attenzione estrema ad ogni dettaglio della composizione. Nell’ambientazione architettonica prescelta (un capannone industriale) i personaggi rappresentati osservano come impotenti ciò che gli sta intorno, una realtà incomprensibile e caotica, fatta di rifiuti e oggetti fuori luogo. Come il personaggio sulla destra del quadro, che è un po’ la metafora della nostra condizione di spettatori.
Infine c’è una serie di opere più astratte, che ha come tema il doppio, l’immagine speculare, riflessa come in uno specchio d’acqua. L’aspetto più interessante di queste strane forme, queste costruzioni, è che sembrano opere astratte, composte però da figure concrete. Certe potrebbero apparire dei satelliti, degli oggetti volanti non identificati, altre delle pietre volanti, dei massi erratici, o una trasposizione delle nostre abitazioni in un futuro immaginario. Sospese in aria, in un azzurro astratto, privo di nuvole, queste “Cose” ci osservano dall’alto: ma c’è davvero qualcuno lì dentro? Alla ricchezza di figure presenti nei “poster”, fanno da contrasto queste immagini che paiono quasi precludere la presenza umana: l’artista cerca di mettere in discussione la visione abituale degli oggetti, rendendo l'analisi distaccata e quasi astratta. Non è più possibile guardare il reale, sembra dire, perché il reale non ha più una sua identità materiale. Pesanti ma allo stesso tempo leggere,
esse esprimono una tensione verso lo spazio, la perdita di peso, la libertà. Qui, come diceva Calvino, la leggerezza si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso.
L’interesse per la costruzione di volumi in prospettiva è evidente, come il desiderio e la ricerca di quella precisione che individui oggetti e cose nelle loro forme in modo da poterne poi stravolgere il significato con maggior meraviglia. In certi casi la “forma” di partenza è ancora riconoscibile, altre volte lo spunto reale di partenza è quasi irriconoscibile, e l’oggetto diventa segno astratto, letteralmente un oggetto non identificato-identificabile. Per ottenere questo risultato, l’artista parte da un frammento di oggetto fotografato, che viene sottoposto ad una rotazione, ad una ripetizione: replicate, ruotate, e infine ricomposte in un insieme coerente, le immagini possono poi essere “montate” in diversi modi, esposte in orizzontale o in verticale, affiancate o sovrapposte. Si parte quindi da un dato reale per arrivare ad un’opera essenzialmente astratta.
L’aspetto concettuale va di pari passo con la cura nella realizzazione tecnica. La risoluzione adottata è così alta che le immagini sembrano dipinti e non fotografie. Un tempo si diceva di un quadro ben dipinto, che sembrava una fotografia. Ora è il contrario: è la fotografia che a volte sembra un dipinto. In queste opere anche il cielo sembra finto, astratto: la “grana” della realtà è sparita, assente. E così, la tendenza all’astrattismo è la conseguenza di un realismo dall’effetto straniante, e l’aspetto patinato delle composizioni concorre alla perfetta riuscita della finzione.
Perfette nel loro volume geometrico, le costruzioni sono come sospese, senza prospettiva alcuna né linea d’orizzonte, nel cielo terso. In queste opere l’artista esprime le sue ricerche di spazialità, dove l’aria è ferma come le forme che vi galleggiano, immobili nella loro “realistica” astrazione. Simboli? Non proprio. L’artista non intende utilizzare simbologie perché i suoi quadri vengano compresi. Come sosteneva Magritte, “il visibile” è talmente ricco da dare vita ad un linguaggio poetico capace di evocare sia il visibile sia l’invisibile. Ma il visibile, lo sappiamo, non è il reale, poiché ne è già l’interpretazione sensibile. Ancor più lontana, differente dal reale e quindi dal visibile, sarà allora l’immagine, un’immagine che comunque, nel caso di Maurizio Pinto, mantiene sempre un forte legame con la realtà. In queste fotografie, infatti, il “peso della leggerezza” si fa sempre sentire: la ricerca della levità non fa mai dimenticare la pesantezza delle costruzioni, così come l’azzurro del cielo non deve far dimenticare il nero che è dietro, lo spazio infinito...
A R T H E S I S via xx settembre 71 asti
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Maurizio Pinto è nato a Torino nel 1973. Vive e lavora ad Asti. Oltre che di fotografia, si occupa di arte antica ed orientale. Per informazioni e contatti: uovocollezioni@gmail.com
F O T O G R A F I E
SPAZIO ARTHESIS ASTI, 27.03 – 10.04.2010
Quante volte vediamo più cose in un unico oggetto? Quante volte in un’opera è presente una molteplicità di possibili significati ed interpretazioni? Le fotografie esposte in questa personale di Maurizio Pinto hanno la peculiarità di permettere vari livelli di lettura. Esse evidenziano l’evoluzione dell’artista e rappresentano un’efficace sintesi di quanto da lui realizzato negli ultimi anni.
Una delle sale della galleria è dedicata a quelli che il fotografo chiama quasi scherzosamente “poster”, per sottolineare la natura più estemporanea, meno studiata e più spontanea di queste opere, dove tuttavia è subito evidente la capacità tecnica dell’artista. Si tratta in effetti di fotografie dal tema diverso, principalmente persone e paesaggi visti in varie parti del mondo, e in cui però è presente ben più di quello che il significato del termine poster, che letteralmente sta per ‘manifesto, affisso’, lascerebbe intendere, e cioè la “riproduzione a stampa di opere d’arte, fotografie di personaggi celebri e no, paesaggi e simili, che si è soliti appendere alle pareti come oggetto di arredamento”. In realtà, dietro l’aspetto di semplici fotografie di viaggio, vi è una ricerca formale di grande precisione, dove la nitidezza dell’immagine è anche pulizia dello sguardo e capacità di penetrazione del soggetto rappresentato, che viene colto nella sua innocenza e semplicità.
Quasi a contrastare questa apparente immediatezza e facilità, una parete della galleria è completamente occupata da un’unica immagine, il contrario del poster inteso quale opera multipla, commerciale, a basso costo: quest’opera di forte impatto visivo appare da subito molto ricercata e lavorata. Alla “realtà” e ai colori forti e brillanti dei “poster”, si contrappone l’“irrealtà” di quest’immagine in bianco e nero (Un-Real è il titolo) che mette insieme la passione per le persone e le architetture, e dove forti sono i richiami visivi a quella che è una grande passione di Pinto, l’oriente. Se si osserva attentamente, in essa si possono scoprire dei particolari che a prima vista non si erano notati. L’artista ha inserito ovunque oggetti e figure che richiedono un’attenzione estrema ad ogni dettaglio della composizione. Nell’ambientazione architettonica prescelta (un capannone industriale) i personaggi rappresentati osservano come impotenti ciò che gli sta intorno, una realtà incomprensibile e caotica, fatta di rifiuti e oggetti fuori luogo. Come il personaggio sulla destra del quadro, che è un po’ la metafora della nostra condizione di spettatori.
Infine c’è una serie di opere più astratte, che ha come tema il doppio, l’immagine speculare, riflessa come in uno specchio d’acqua. L’aspetto più interessante di queste strane forme, queste costruzioni, è che sembrano opere astratte, composte però da figure concrete. Certe potrebbero apparire dei satelliti, degli oggetti volanti non identificati, altre delle pietre volanti, dei massi erratici, o una trasposizione delle nostre abitazioni in un futuro immaginario. Sospese in aria, in un azzurro astratto, privo di nuvole, queste “Cose” ci osservano dall’alto: ma c’è davvero qualcuno lì dentro? Alla ricchezza di figure presenti nei “poster”, fanno da contrasto queste immagini che paiono quasi precludere la presenza umana: l’artista cerca di mettere in discussione la visione abituale degli oggetti, rendendo l'analisi distaccata e quasi astratta. Non è più possibile guardare il reale, sembra dire, perché il reale non ha più una sua identità materiale. Pesanti ma allo stesso tempo leggere,
esse esprimono una tensione verso lo spazio, la perdita di peso, la libertà. Qui, come diceva Calvino, la leggerezza si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso.
L’interesse per la costruzione di volumi in prospettiva è evidente, come il desiderio e la ricerca di quella precisione che individui oggetti e cose nelle loro forme in modo da poterne poi stravolgere il significato con maggior meraviglia. In certi casi la “forma” di partenza è ancora riconoscibile, altre volte lo spunto reale di partenza è quasi irriconoscibile, e l’oggetto diventa segno astratto, letteralmente un oggetto non identificato-identificabile. Per ottenere questo risultato, l’artista parte da un frammento di oggetto fotografato, che viene sottoposto ad una rotazione, ad una ripetizione: replicate, ruotate, e infine ricomposte in un insieme coerente, le immagini possono poi essere “montate” in diversi modi, esposte in orizzontale o in verticale, affiancate o sovrapposte. Si parte quindi da un dato reale per arrivare ad un’opera essenzialmente astratta.
L’aspetto concettuale va di pari passo con la cura nella realizzazione tecnica. La risoluzione adottata è così alta che le immagini sembrano dipinti e non fotografie. Un tempo si diceva di un quadro ben dipinto, che sembrava una fotografia. Ora è il contrario: è la fotografia che a volte sembra un dipinto. In queste opere anche il cielo sembra finto, astratto: la “grana” della realtà è sparita, assente. E così, la tendenza all’astrattismo è la conseguenza di un realismo dall’effetto straniante, e l’aspetto patinato delle composizioni concorre alla perfetta riuscita della finzione.
Perfette nel loro volume geometrico, le costruzioni sono come sospese, senza prospettiva alcuna né linea d’orizzonte, nel cielo terso. In queste opere l’artista esprime le sue ricerche di spazialità, dove l’aria è ferma come le forme che vi galleggiano, immobili nella loro “realistica” astrazione. Simboli? Non proprio. L’artista non intende utilizzare simbologie perché i suoi quadri vengano compresi. Come sosteneva Magritte, “il visibile” è talmente ricco da dare vita ad un linguaggio poetico capace di evocare sia il visibile sia l’invisibile. Ma il visibile, lo sappiamo, non è il reale, poiché ne è già l’interpretazione sensibile. Ancor più lontana, differente dal reale e quindi dal visibile, sarà allora l’immagine, un’immagine che comunque, nel caso di Maurizio Pinto, mantiene sempre un forte legame con la realtà. In queste fotografie, infatti, il “peso della leggerezza” si fa sempre sentire: la ricerca della levità non fa mai dimenticare la pesantezza delle costruzioni, così come l’azzurro del cielo non deve far dimenticare il nero che è dietro, lo spazio infinito...
A R T H E S I S via xx settembre 71 asti
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Maurizio Pinto è nato a Torino nel 1973. Vive e lavora ad Asti. Oltre che di fotografia, si occupa di arte antica ed orientale. Per informazioni e contatti: uovocollezioni@gmail.com