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Trash in Italy an unusual italian landscape
Autore: elisaimages
- Pubblicato il 16/01/20 - Categoria
Architettura
Trash in Italy an unusual italian landscape
Credo di essere stato tra i primi a vedere le foto di Elisa e Andrea. Vedere? Meglio sarebbe dire leggere, Masticare, sognare, toccare con mano la loro alterità visionaria. Una sensazione cui tutto è naturalmente curioso, intelligentemente furioso, civilmente ringhioso. Questa Italia, cosi lontana dall’immagine oleografica che conosciamo, rimanda un’amara rappresentazione dell’uomo, distratto e assorto, alla mercé di forze che non vede e, proprio per questo, non osteggia. E quando le vede è troppo tardi, perché nel frattempo per il dispiacere dei suoi occhi han costruito quello che con un brutto ma efficace neologismo chiamiamo “ecomostro”. Nell’eterna sfida tra Uomo e Antiuomo, i due fotografi mettono tra parentesi il primo per evocare il secondo, l’unico capace di distruggere se stesso e quanto di di buono è riuscito a fare. E’ lo stesso essere che inserisce un serpente d’asfalto dentro un’area archeologica, quasi voglia, letteralmente mettere “pietra e bitume” sul proprio passato. Elisa e Andrea non indulgono alla nostalgia, al "com’era prima” ma con queste immagini negano con forza le strade, i viadotti, gli edifici che attraversano una necropoli o sorgono su uno scoglio, facendosi sfregio, ferita lanciante.
Il discorso è chiaro, lineare e coerente, poesia in cui ogni parola (ogni immagine) è scagliata con rabbiosa grazia, abile inventiva, polemica verve. La denuncia è esplicita, seppur mediata dalla ricerca costante e appassionata del risultato artistico. E la “politica” c’è, totalmente inconsapevole, ma c’è, in questa poesia visuale che dispensando amarezza a dosi massicce, tenta di arrivare dritta al cuore e alla coscienza per strappare un grido di dolore, un urlo solidale. Di fronte a queste foto nasce un moto di incredulità ( com’è possibile tutto questo?), e sul volto si disegna una smorfia deformante quasi a stabilire un rapporto simbiotico con quel povero paesaggio offeso e, appunto, deformato. Scuotendoci n modo brusco dal torpore, queste immagini da vedere e rivedere, da masticare e rimasticare, da sognare e risognare, ci invitano a fare qualcosa prima che il mostro di cemento devasti anche l’ecologia della nostra anima.
Testo Di Pino Fondati
Progetto fotografico di Elsa Scaramuzzino e Andrea Pavesi
Credo di essere stato tra i primi a vedere le foto di Elisa e Andrea. Vedere? Meglio sarebbe dire leggere, Masticare, sognare, toccare con mano la loro alterità visionaria. Una sensazione cui tutto è naturalmente curioso, intelligentemente furioso, civilmente ringhioso. Questa Italia, cosi lontana dall’immagine oleografica che conosciamo, rimanda un’amara rappresentazione dell’uomo, distratto e assorto, alla mercé di forze che non vede e, proprio per questo, non osteggia. E quando le vede è troppo tardi, perché nel frattempo per il dispiacere dei suoi occhi han costruito quello che con un brutto ma efficace neologismo chiamiamo “ecomostro”. Nell’eterna sfida tra Uomo e Antiuomo, i due fotografi mettono tra parentesi il primo per evocare il secondo, l’unico capace di distruggere se stesso e quanto di di buono è riuscito a fare. E’ lo stesso essere che inserisce un serpente d’asfalto dentro un’area archeologica, quasi voglia, letteralmente mettere “pietra e bitume” sul proprio passato. Elisa e Andrea non indulgono alla nostalgia, al "com’era prima” ma con queste immagini negano con forza le strade, i viadotti, gli edifici che attraversano una necropoli o sorgono su uno scoglio, facendosi sfregio, ferita lanciante.
Il discorso è chiaro, lineare e coerente, poesia in cui ogni parola (ogni immagine) è scagliata con rabbiosa grazia, abile inventiva, polemica verve. La denuncia è esplicita, seppur mediata dalla ricerca costante e appassionata del risultato artistico. E la “politica” c’è, totalmente inconsapevole, ma c’è, in questa poesia visuale che dispensando amarezza a dosi massicce, tenta di arrivare dritta al cuore e alla coscienza per strappare un grido di dolore, un urlo solidale. Di fronte a queste foto nasce un moto di incredulità ( com’è possibile tutto questo?), e sul volto si disegna una smorfia deformante quasi a stabilire un rapporto simbiotico con quel povero paesaggio offeso e, appunto, deformato. Scuotendoci n modo brusco dal torpore, queste immagini da vedere e rivedere, da masticare e rimasticare, da sognare e risognare, ci invitano a fare qualcosa prima che il mostro di cemento devasti anche l’ecologia della nostra anima.
Testo Di Pino Fondati
Progetto fotografico di Elsa Scaramuzzino e Andrea Pavesi
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