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Nur/Luce Appunti Afgani di Monika Bulaj dal 4 agosto a Trieste
Autore: Newlab srl - Pubblicato il 24/07/12 - Categoria Mostre
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"NUR/LUCE. Appunti afghani" è una mostra della fotoreporter Monika Bulaj, che dopo essere stata presentata a Venezia nella Loggia di Palazzo Ducale e a Roma nelle Officine Fotografiche, viene ospitata a Trieste nella suggestiva cornice dell’ex Pescheria - Salone degli Incanti, arricchita da nuove immagini e da alcuni interventi di urban art. Nata a Varsavia nel ’66, Monika Bulaj è fotografa, reporter free lance e documentarista. Laureata in filologia, si è dedicata alla ricerca antropologica, approfondendo, in particolare il tema della fede. Considerata da alcuni “la migliore fotografa sul tema del sacro”, ha pubblicato diversi libri di fotografia e un paio di romanzi, collabora regolarmente con National Geographic, GEO, La Repubblica, Il Venerdi di Repubblica, D - La Repubblica delle Donne, Freundin, TEATR (Polonia), EAST - European and Asian Strategies, Courrier International, Corriere della Sera, Io Donna - Corriere della Sera, Gazeta Wyborcza, Internazionale, Avvenire, Famiglia Cristiana, Il Piccolo. Ha all'attivo circa 60 mostre personali, tra New York e Il Cairo. E' stata insignita dei seguenti premi: Grant in Visual Arts 2005 da parte di European Association for Jewish Culture; Premio Francesco Gelmi di Caporiacco 2008; Premio Chatwin 2009 “Occhio assoluto”; The Aftermath Project Grant 2010; Premio Luchetta-Hrovatin 2011; TEDGlobal Fellowship 2011. Monika Bulaj parla della mostra come di “un viaggio solitario nella terra degli Afghani. Dividendo il cibo, il sonno, la fatica, la fame, il freddo, i sussurri, il riso, la paura. Spostandosi con bus, taxi, cavalli, camion, a dorso di yak. Dal confine iraniano a quello cinese sulle nevi del Wakhan, armati soltanto di un taccuino e una Leica, fatti per l’intimità dell’incontro. Balkh, Panjshir, Samanghan, Herat, Kabul, Jalalabad, Badakshan, Pamir Khord, Khost wa Firing. Uno slalom continuo per evitare i banditi targati Talib, seguendo la complicata geografia della sicurezza che tutti gli afghani conoscono. Parlando con gli afghani, ho scoperto che la guerra è una macchina miliardaria che si autoalimenta e che pur di funzionare arriva al punto di pagare indirettamente tangenti allo stesso nemico. Rifiutando di viaggiare con un’unita’ militare - ‘embedded’ - protetti da un elmetto in kevlar, ho ritrovato un mondo che dalla Maillart a Bouvier gli europei amarono e che ora, dopo dieci anni di presenza militare, abbiamo rinunciato a conoscere. La culla del sufismo e di un Islam tollerante che, lì come in Bosnia, l’Occidente si ostina a ignorare. Un mondo odiato dai Taliban e minacciato dal nostro schema dello scontro bipolare. Un Paese nudo e minerale, dove un albero ha una maestà senza eguali e l’individuo non ha spazio per l’arroganza. Deserti dove il richiamo “Allah u Akhbar” suona più puro che altrove. Una terra abbacinante, dai cieli sconfinati, e così inondata di sole che bisogna rifugiarsi nell’ombra - interni, albe e crepuscoli - per ridare un senso alla luce, al fuoco, ai bagliori dello sguardo. Un Paese disperato, dove la donna è schiacciata dal tribalismo e l’oppio è la sola medicina dei poveri, ma dove una straniera può essere accolta in una moschea e l’incantamento dello straniero è vissuto come una benedizione. Una terra dove si rischia la vita solo andando a scuola e dove nelle periferie disperate i bambini si svegliano alle quattro del mattino per andare a prendere l’acqua con gli asini. Ma anche un Paese d’ironia, capace di ridere nei momenti più neri, rispettoso degli anziani, perfettamente conscio che il solo futuro possibile sta nella scuola, e nei bambini che domani saranno uomini. Nel “giardino luminoso” dell’Afghanistan ho seguito d’istinto i suoi sentieri, trovando focolai di speranza nei luoghi più insperati, nel fondo più nero della disperazione”. “Appunti afghani” è una raccolta di immagini di grande qualità: oltre all’impeccabile aspetto tecnico/compositivo delle fotografie, realizzate indistintamente in colore e bianco e nero, spicca la sensibilità dell’autrice, che crea una serie di immagini intense, raffinate, vissute e coraggiose come l’impresa stessa. Rifiutando di viaggiare con i militari come fotografa ‘embedded’, Monika Bulaj è riuscita ad “entrare” e a mescolarsi con la gente e le tradizioni dei luoghi visitati, siano essi villaggi Kirghisi che città - spettro come Kabul, ottenendo completa fiducia, tanto da riuscire a scattare anche in situazioni particolarmente delicate come ospedali, moschee, scuole e prigioni. Il suo lavoro inoltre mette in luce un altro Afghanistan, spesso nascosto dagli stereotipi e mascherato dai pregiudizi, quello delle donne, raccontate attraverso scatti che catturano le loro espressioni più autentiche. A corollario della mostra, dal 7 al 9 settembre p.v. l’Auditorium dell’ex Pescheria - Salone degli Incanti ospiterà un ciclo di incontri/conferenze/proiezioni di approfondimento.
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