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i foto(en)grammi sono immagini
plausibili, non vere, comunque
composte da quelle che usiamo
chiamare ‘immagini vere’ cioè le
fotografie.
Dobbiamo chiederci più
seriamente cosa significhi ‘vedere’,
perché la questione (una
questione a sua volta oggettiva,
che allarga il discorso alle
neuroscienze) non si risolve
troppo semplicemente se si pensa
ai processi di visualizzazione,
significazione e memorizzazione
senza i quali non possiamo
parlare di ciò che vediamo.
L’immagine dunque è il frutto di
una elaborazione mentale e ha
addirittura una componente
genetica.
A questi processi mentali di
significazione e comprensione ,
all’immagine oggettiva e insieme
alle sue componenti soggettive e
genetiche è rivolto il mio
interesse. Se è vero
che svolgiamo un’attività
neuronale estremamente complessa
di significazione dell’ambiente
reale e che le informazioni
visive e acustiche dopo essere
state raccolte dagli organi
sensoriali sono trasformate in
impulsi elettrici ed
elettrochimici per essere
elaborati del nostro cervello,
quanto vediamo , in forma di
immagini continue,
prospetticamente corrette
(precise al punto da informare e
indirizzare i nostri movimenti )
non è che una elaborazione della
nostra mente.
Le immagini si aggregano
seguendo un criterio di
risonanza interiore. La
composizioni che derivano da
questi processi devono essere
plausibili, leggibili, la luce e
le ombre devono manifestarsi
correttamente. Il carattere
visivo delle composizioni deve
essere mantenuto. Il
significato, la simbologia, se
esistono, sono da indagare. La
spiegazione non è importante.
Importante è l’ascolto della
logica soggettiva che fa capo
alla risonanza e
all’immaginazione, il racconto
di una scena che scaturisce da
echi interiori, ricreando un
processo simile alla meccanica
del sogni.